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VENEZUELA, L’IRA DI CONTE SU DI BATTISTA: “ORA BASTA, FERMATELO”

Giuseppe Conte prima di raggiungere Ciampino e imbarcarsi sul Falcon dell’Aeronautica per raggiungere Abu Dhabi esplode di una rabbia fredda – racconta Tommaso Ciriaco su la Repubblica. Al presidente del Consiglio non ha digerito l’uscita di Alessandro Di Battista sul Venezuela e la sua passione per Maduro e per la Russia di Putin.

Perché un conto è dover accettare l’isolamento di Roma dall’élite franco-tedesco-spagnola, e ammettere con gli interlocutori di Bruxelles che «no, noi un comunicato con il nome di Guaidó non possiamo firmarlo per ragioni di equilibri interni all’esecutivo». Un altro è vedersi escluso dall’Europa che conta a causa di Alessandro Di Battista e della sua passione per Maduro e la Russia di Putin. «La linea non la decide lui – è il ragionamento serale del capo dell’esecutivo – il suo è un parere importante di chi comunque non è neanche parlamentare del Movimento».

Quel che il presidente del Consiglio non può dire neanche sotto tortura, però, è che una fetta rilevante della responsabilità di questo pasticcio diplomatico ricade su Luigi Di Maio. Non a caso, l’ultima telefonata dell’avvocato prima della missione negli Emirati e in Oman è per il suo vicepremier. «Non puoi lasciare che Di Battista smonti tutto quello che costruiamo – il senso dello sfogo che trapela – Capisco tutto, ma almeno le posizioni di politica internazionale vanno ricondotte a quelle ufficiali dei membri del governo». Ci sono gli impegni geopolitici in ballo, il rapporto con gli Stati Uniti, l’imbarazzo per le ambiguità 5S rispetto al regime di Caracas.
E dire che tra il pomeriggio di venerdì e il mattino di sabato Conte le aveva provate tutte, aiutato dal paziente ricamo di Enzo Moavero Milanesi. L’obiettivo del ministro degli Esteri da giorni, era uno soltanto: «Attestare l’Italia su una posizione europea condivisa».
Quando nel pomeriggio di ieri l’Unione si pronuncia, richiamando un articolo della Costituzione del Venezuela che è l’anticamera di un futuro riconoscimento di Guaidò, Di Battista comincia a picconare Palazzo Chigi e la stabilità della maggioranza.
È una mina nel cuore del governo. Salvini è una furia. Non passa giorno che il leghista non si scontri con il Movimento, cordialmente ricambiato. «Non so se mi conviene andare avanti», ha ripreso a sussurrare ai suoi. Stavolta però è diverso, perché la paralisi costringe il premier a una presa di posizione serale che è un passo indietro anche rispetto al documento dell’Unione. Non può fare molto altro, visto che Di Maio tace e la linea dei 5S è in mano a “Dibba”.
Soltanto Moavero, per uno sforzo di chiarezza e di rispetto degli impegni assunti poche ore prima dal governo italiano, verga un comunicato in cui ribadisce il sostegno italiano al testo dei ventotto. Ma al ministro dell’Interno non basta. Sostiene da tempo che proprio il ritorno del cinquestelle più amato dalle telecamere finirà per minacciare l’esecutivo. «Di Maio è preoccupato – ha confidato ad alcuni amici parlamentari durante l’ultima rimpatriata organizzata nella sua residenza romana – ma non può fare molto, glielo hanno imposto. Il problema è che così rischia di far saltare tutto». In fondo, neanche gli dispiacerebbe.