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ROMA, UN REFERENDUM MA NON SOLO SULLO STADIO

Nel suo rutilante esercizio di depistaggio, Beppe Grillo, in visita a Roma per “dire la parola decisiva sulla questione stadio “ha promesso che, ad un certo punto dell’iter, gli interessati verranno consultati. Passata la prima emozione su questo annuncio di democrazia, sorgono però spontanee due domande, scrive Alberto Benzoni su Avantionline.

Primo: chi sarebbero mai questi “interessati” – si chiede Benzoni: gli abitanti della zona? gli utenti della Roma-Ostia? i grillini? i grillini favorevoli al progetto? i tifosi della Roma? i consiglieri d’amministrazione della società di Parnasi? I ministri e sottosegretari del governo Gentiloni con residenza a Roma?

Secondo: quale sarà la domanda? “Famo lo stadio senza se e senza ma? Famo lo stadio senza se e senza ma, ma senza i grattacieli? Con grattacieli più bassini? O famolo ma altrove?”

Dubbi tormentosi e legittimi. Perché mai come in questo caso la risposta dipende dalle persone che avranno il diritto ad essere interrogate e dal tipo di domanda che avranno di fronte.
E allora, senza trucchi e senza inganni, c’è una sola soluzione possibile. Interrogare tutta la cittadinanza romana; e chiedergli se condivide, o meno il progetto che è oggi sul tappeto; lo stadio più le torri.

Sarà un referendum consultivo, ci mancherebbe. Ma sarà anche un grandissimo esercizio di democrazia; non foss’altro perché permetterà a tutti noi di capire dove sta la materia del contendere e qual è la posta in palio. Non siamo in presenza di una lite intorno ad un’opera pubblica voluta dalla città e osteggiata dagli abitanti della zona. Non abbiamo la solita disputa tra tutori dell’ambiente con la puzza al naso e la gente fatta di carne e di sangue che rivendica il sacrosanto diritto di andare allo stadio per vedere la partita. Non ci si proponga la solita stucchevole diatriba tra chi dice sempre no e coloro che, male che vada, propongono alla città nuove possibilità di investimento e di occupazione. Perché qui si confrontano due diverse visioni: in linea specifica su cosa è o dovrebbe essere una società sportiva, in linea generale su cosa è, o dovrebbe diventare la nostra città.

Sul primo punto è bene sgombrare il campo: perché la questione non è stadio sì/ stadio no (come ancora vi raccontano) ma stadio dove e stadio come. Un problema che ha già la sua risposta, fornita dagli stessi interessati, in tutti i paesi del mondo: gli stadi si fanno – rappresentando perciò stesso un investimento produttivo all’interno del tessuto urbano esistente, che contribuiscono a riqualificare – là dove stanno i tifosi. Nel caso specifico, nel quadrante orientale della città, lungo l’asse Pietralata – Torre Spaccata; aree proposte, non a caso, da un organismo di consulenza a ciò deputato dal Comune.

Nel caso di Tor di Valle, invece, lo schema di riferimento è del tutto diverso: lo stadio non è fonte di profitto, necessitando anche di investimenti massicci di sistemazione della zona per essere realizzato; i profitti, quando verranno, saranno di Parnasi e del finanziere d’assalto Pallotta, occasionalmente presidente della Roma e si avranno solo quando i tre enormi grattacieli da 1 milione di metri cubi, previsti a titolo di compensazione per le opere svolte si realizzeranno e uffici e supermercati saranno piazzati su di un mercato già saturo.

E qui signori miei, che lo vogliate o no, entra in campo l’idea di città. Che si sostanzia in tre domande precise. O sì o no. Il resto è del demonio.

Primo: volete voi una città immersa nella modernità made in Usa con i suoi relativi grattacieli progettati dall’archistar del momento; oppure ritenete che il profilo di Roma debba rimanere quello costruito nel corso dei secoli?

Secondo: pensate che Roma debba continuare ad andare dove la spingano gli interessi economici e fondiari, e cioè verso Ovest e verso il mare, oppure ritenete che i vari piani regolatori che guardavano verso il recupero dell’est e delle periferie non debbano rimanere carta straccia?

Terzo: pensate che l’unico modello praticabile per lo sviluppo della città siano le cosiddette grandi opere, lungo l’asse banca/rendita fondiaria/grandi eventi; oppure pensate che questo modello, già oggi in crisi, possa e debba essere sostituito da altri?

E non mi dite, per carità, che queste sono domande capziose . conclude Benzoni – e/o retoriche e cioè tali da suscitare le risposte che suggerisco. Perché non è affatto così; e non è affatto così perché la scelta vera non è tra le cose sbagliate e quelle giuste ma tra continuità e discontinuità. E la discontinuità, la rottura di una prassi vigente da decenni è talmente difficile da apparire improponibile. Come è dimostrato, ci si consenta questa tirata d’orecchi finale, dai penosi contorcimenti della giunta Raggi in materia.

A quanto pare, il M5S non è in grado di decidere alcunché e di spiegarci con chiarezza cosa intende fare. Una ragione di più per fare un referendum…

mader
Fonte: Avantionline