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RAGGI DI BUIO

virginia-raggiLasciamola lavorare la ragazza. Ha stravinto le elezioni Virginia Raggi più per i disastri provocati dagli altri che per meriti suoi, ma adesso prima di caricare i fucili e metterla al muro aspettiamo almeno un anno. Troppo variopinta e chiassosa l’opposizione del Campidoglio, quella che fino a pochi mesi fa era alla guida dell’Urbe. Un po’ più di misura e di prudenza non guasterebbe e aiuterebbe a evitare quel “fronte contro fronte” che non aiuta a sviluppare giudizi sereni. Tuttavia non si può dire che i primi passi della nuova amministrazione siano stati felici. Innanzitutto i tempi e i modi a cui si è pervenuti a nominare la giunta. Il complicato percorso ci ha aiutato a capire anche la geografia del movimento, almeno per quel che riguarda Roma.


Ad esempio, abbiamo appreso che a Roma esiste un mini direttorio e questo organo si comporta come qualsiasi strumento partitocratico della prima, e anche della seconda, Repubblica. Vuol decidere o quanto meno condizionare la nomina degli assessori. E questo in barba ai poteri del sindaco democraticamente eletto. Quindi il movimento, o partito, vien prima del popolo, visto che il direttorio non è stato eletto da nessuno. Poi siamo venuti a conoscenza di chi conta effettivamente nel direttorio. Ad esempio questa Lombardi che ha fatto la voce grossa per ottenere assessori a lei legati, o questa Taverna che ha fatto altrettanto, mentre lo stesso Di Battista e perfino il napoletano Di Maio hanno avanzato pretese di candidatura.

Fatto sta che la Giunta Raggi è stata l’ultima ad essere nominata tra le diciannove uscite dall’urna delle città capoluogo di provincia. La lottizzazione (non mi viene un altro modo di definirla) ha addirittura interessato il capo di gabinetto e il suo vice, in una altalenante palleggio tra Frongia e Marra, poi annullati entrambi dalla Morgante, mentre i media nazionali hanno parlato di un sindaco che avrebbe minacciato le dimissioni e di un dossier segreto contro Marcello De Vito, esponente vicino a Roberta Lombardi e alla senatrice Paola Taverna, le due donne che hanno complicato, e parecchio, la vita di Raggi.

Come se non fosse bastato, dopo aver trovato col bilancino la quadra, la Raggi è stata subito chiamata a far fronte al caso Muraro, assessore all’ambiente della sua giunta e in passato consulente ben pagata dell’Ama, l’azienda dei rifiuti romana più volte al centro delle polemiche degli stessi Cinque stelle. Delle due l’una. O la Muraro ha dato pessimi consigli a questa azienda, visti i risultati, oppure è stata una consulente poco ascoltata. In entrambi i casi i suoi emolumenti sono parsi eccessivi. Da tutto questo emergono tre sensazioni iniziali (i giudizi andranno espressi piû tardi). La prima è che, come già anticipato, i Cinque stelle siano un pezzo di partitocrazia, con tanto di capi bastone, che tendono ad accaparrarsi e dividersi il potere. La seconda è che non solo il governare, ma anche l’amministrare, sia arte assai più complicata del protestare, soprattutto in una città come Roma e da parte di giovani inesperti. La terza è che può capitare anche ai Cinque stelle di compiere scelte avventate se non sbagliate. Vedremo adesso gli sviluppi. Pensiamo però, se tutto questo fosse capitato agli altri, come avrebbero reagito dall’opposizione lorsignori con quel supposto intransigente candore…..

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Fonte: Avantionline