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MA IL PROGRAMMA DEI 5 STELLE PER LE ELEZIONI SICILIANE L’HANNO SCRITTO CETTO LA QUALUNQUE E CHECCO ZALONE?

Concorsi pubblici, assunzioni, reddito di cittadinanza, investimenti in sanità e infrastrutture: la ricetta dei Cinque Stelle per la Sicilia fa impallidire la Democrazia Cristiana degli anni d’oro. E anche oggi, il cambiamento lo facciamo domani.

Non ci saranno i cosmetici mutabili, né i castelli ad equo canone, né tantomeno un concorso per allievo maresciallo da seimila posti a Mazara del Vallo, nel programma del candidato presidente a Cinque Stelle per la Regione Sicilia Giancarlo Cancelleri. Non ci saranno, ma quel che dovrebbe esserci, stando a interviste e indiscrezioni, potrebbe ispirare scrive Francesco Cancellato su Linkiesta – una nuova canzone a Checco Zalone. Già, perché la Prima Repubblica non si scorda mai, in Sicilia. E nemmeno il Movimento fa eccezione.

Premessa doverosa: per tutti gli altri – destra, sinistra e centro – parlano il passato e il presente, e non è un bel parlare. Se l’Assemblea Regionale Siciliana costa 165 milioni di euro, contro i 68 milioni del Consiglio Regionale Lombardo, epicentro di una classe politica che stando alla Corte dei Conti è la più costosa d’Europaun terzo dei dirigenti regionali italiani si trovano in Sicilia – non è certo colpa della Casaleggio Associati. E non sarà certo Beppe Grillo a fare dell’Isola l’idealtipo dell’assistenzialismo, delle clientele e dei posti pubblici elargiti come caramelle a ogni campagna elettorale.

Cari grillini nostri, non bastano i tuffi in paracadute di Di Maio e Dibba, così come non bastava la nuotata di Grillo nello stretto di Messina per cambiare le cose in Sicilia. Basterebbe – è una parola, ce ne rendiamo conto – dire le cose come stanno. Ed evitare di sparare fuochi d’artificio assistenzialisti e clientelari come una Democrazia Cristiana (o una Forza Italia o un Partito Democratico) qualsiasi

E però, cari grillini nostri, non bastano i tuffi in paracadute di Di Maio e Dibba, così come non bastava la nuotata di Grillo nello stretto di Messina per cambiare le cose in Sicilia. Basterebbe – è una parola, ce ne rendiamo conto – dire le cose come stanno. Ed evitare di sparare fuochi d’artificio assistenzialisti e clientelari come una Democrazia Cristiana (o una Forza Italia o un Partito Democratico) qualsiasi.

Già, perché magari hanno capito come si vincono le elezioni siciliane, i nostri ragazzi meravigliosi. Ma promettere contemporaneamente il reddito di cittadinanza, e investimenti in personale sanitario e infrastrutture, concorsi pubblici con assunzioni di giovani e prepensionamenti dei dipendenti anziani vuol dire non aver capito nulla delle condizioni in cui è la Sicilia, una Regione che nel 2016 ha approvato il bilancio solo il 19 luglio, dopo che un lungo tira e molla con la Procura della Corte dei Conti, secondo cui il rendiconto era irregolare. E che è riuscita a non andare in default l’anno prima – il passivo era di 6 miliardi e rotti – solo grazie a un accordo con il Governo che ha concesso 1,2 miliardi di gettito Irpef aggiuntivo, in cambio della promessa di tagliare la spesa corrente del 3% a partire dal 2017.

E non parlateci di new deal, per cortesia: la malsana idea che un po’ di welfare differito possa, in Sicilia, tramutarsi magicamente in sviluppo è roba da far rivoltare nella tomba persino Keynes e far saltare di gioia Cetto La Qualunque e Checco Zalone. Del resto, è la ricetta del disastro di settant’anni di malgoverno siciliano. Spiace non l’abbiano capito gli unici che, in quel contesto, potevano davvero cambiare qualcosa. Sarà per la prossima volta, se mai ci sarà.

Fonte: Linkiesta