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LA PERNIGOTTI CHIUDE DOPO 160 ANNI, DI MAIO NON È RIUSCITO A SALVARLA

La Pernigotti chiude dopo 160 anni, la storica azienda di gianduiotti di Novi Ligure, di proprietà del gruppo turco Toksoz: da oggi è scattata la cassa integrazione straordinaria per reindustrializzazione, che interesserà per un anno i 92 dipendenti.

L’accordo per la cessazione dell’attività produttiva, raggiunto al ministero del Lavoro, prevede anche l’avvio di un piano di politiche attive per il lavoro, con un primo incontro di verifica a marzo: non mancano gli investitori interessati, tre dei quali sarebbero in attesa di effettuare un sopralluogo presso lo stabilimento.
L’azienda, che ha già affidato «a partner attivi sul territorio nazionale la produzione di alcune linee di prodotto», ha confermato «la volontà di continuare a produrre, distribuire e commercializzare i propri prodotti dolciari attraverso accordi di terziarizzazione in Italia» e si è impegnata «a comunicare tempestivamente eventuali accordi di reindustrializzazione, cercando di evitare il proliferare di inutili speculazioni, come avvenuto nei mesi scorsi, per non alimentare false aspettative, prive di concreti fondamenti».

Angelo Paolella, del sindacato Flai Cgil, ha parlato di «rischio “spezzatino”» e aggiunto che «è una pagina triste per lo stabilimento Pernigotti. Chi vuole chiudere deve cedere il marchio e consentire la continuità di un brand così importante per tutelare la qualità e l’occupazione». Dalla Uila Uil, Pietro Pellegrini ha detto che questo esito «non era quello che auspicavamo, ma è un risultato positivo, perché abbiamo ottenuto la modifica della finalità della “cassa”, che consente la reindustrializzazione del sito e l’attivazione del politiche attive che consente la rioccupazione dei lavoratori». Per Paolo Capone, segretario generale dell’Ugl, «l’obiettivo è arrivare all’incontro al ministero il mese prossimo per la reindustrializzazione del famoso marchio simbolo di qualità e “made in Italy”. Sotto questo aspetto sono fiducioso per il futuro dei lavoratori e dell’azienda».
Critico il sindaco di Novi, Rocchino Muliere, presente all’incontro al ministero: «È poco rispettoso il fatto che siano stati nominati 2 advisor, uno dal governo e uno dalla proprietà. Quest’ultimo aveva l’obiettivo di vendere il settore “Preparati per gelato” con marchio Pernigotti, una situazione da noi sempre contrastata, che getta un cono d’ombra sulle prospettive dell’azienda».
Infine, la vicepresidente del Senato, Anna Rossomando (Pd), ha invitato il governo a farsi «carico al più presto di dare risposte ai lavoratori della Pernigotti, che oggi vedono l’azienda chiudere la produzione, dopo avere visto solo pochi mesi fa il ministro Di Maio cimentarsi in promesse e rassicurazioni».
Ieri Di Maio era assente al tavolo sembra fosse impegnato in Francia a rinsaldare l’asse tra M5S e Gilet Gialli in vista delle europee.

Lo scorso 15 novembre, Di Maio aveva così scritto sui social network: «Io e il presidente Conte incontreremo presto l’attuale proprietà di Pernigotti. Deve essere chiaro che il marchio, la fabbrica e i lavoratori sono un’unica cosa e devono quindi avere un destino condiviso».  Era poi sceso in strada per parlare con i lavoratori in presidio. Da allora sono circolate diverse ipotesi di intesa, Di Maio si è recato a Novi e si è fatto fotografare mentre mangiava cioccolatini, ma l’azienda non ha ceduto di un millimetro. Il 5 febbraio, giorno della firma dell’accordo per la cassa, nessuna dichiarazione da parte del governo e da Di Maio in particolare.

«Oggi ho mangiato un cioccolatino che mi hanno donato i lavoratori della Pernigotti. Un piacere di cui sia io che milioni di italiani – scriveva Di Maio su Facebook il 15 novembre  –  non vogliamo privarci. Non parlo solo del cioccolatino in sé, ma anche della consapevolezza che a produrlo siano gli uomini e le donne che hanno reso grande questo marchio. Se sulla confezione c’è scritto “dal 1860” non è per caso, ma perché si tratta di un’eccellenza storica che ha accompagnato le vite degli italiani e nessuno può permettersi di svilirlo. Io e il presidente Conte incontreremo presto l’attuale proprietà di Pernigotti. Deve essere chiaro che il marchio, la fabbrica e i lavoratori sono un’unica cosa e devono quindi avere un destino condiviso».

Fonte: Il Secolo XIX