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INTERVENTO IN LIBIA NEL 2011: LA FIERA DELLE VERITÀ DI COMODO

Il dibattito che si è acceso sull’intervento italiano in Libia nel 2011 ha aspetti surreali. Anche perché, come al solito, la ragion di partito induce a straparlare. Dimenticando situazioni e condizionamenti. Da questo punto di vista, Matteo Salvini è il solito campione di bon ton, ma forse dovrebbe tacere anche Giorgia Meloni per non parlare di Ignazio La Russa che in questi anni sulla vicenda ha detto di tutto e anche di più. Il desiderio di scaricare sulle spalle di Giorgio Napolitano la responsabilità di una guerra che ha prodotto solo instabilità nel Mediterraneo, è tanto forte da sfidare l’impulso a contraddirsi. Una cosa è evidente: un intervento militare non può essere deciso da una persona sola, dunque Napolitano non può aver fatto tutto nel chiuso del suo laboratorio del Quirinale. Un’altra cosa è evidente: certe scelte sono figlie delle situazioni contingenti. In quel caso la situazione era stata determinata da Nicolas Sarkozy che, spalleggiato dalla Gran Bretagna, aveva cominciato a cannoneggiare la Libia per imporre su quell’area strategica dal punto di vista degli approvvigionamenti energetici (petrolio e gas) la propria egemonia che aveva come corollario il ridimensionamento del ruolo dell’Italia.


Alla fine, dopo la delibera dell’Onu l’Italia intervenne per un motivo molto semplice: evitare che Sarkozy facesse l’asso pigliatutto, impedire l’emarginazione dei nostri interessi nel momento in cui si fosse insediato un nuovo governo. Noi, come è noto, eravamo decisamente “schiacciati” su Gheddafi, accolto a Roma da Berlusconi con tanto di baciamano. I rischi erano altissimi e oggi lo riconosce pure La Russa, all’epoca ministro della difesa, che sottolinea come Gheddafi fosse spacciato e l’Italia rischiasse “di lasciare campo libero alla Francia di Sarkozy”. Ora si dice: fu Napolitano a imporre la scelta. E lo stesso La Russa afferma che l’azione del presidente varcò la soglia costituzionale. Peccato, però, che sempre l’allora ministro della difesa un paio di anni fa, il 16 febbraio 2015, al “Quotidiano Nazionale” abbia dichiarato qualcosa di apparentemente diverso: “Berlusconi fu costretto a cedere alla ragion di stato. E come lui anche il presidente della Repubblicana Napolitano che pretendeva un pronunciamento dell’Onu”. E, allora, dov’è l’indebita pressione? Che poi ci siano stati dei distinguo, maggiore o minore freddezza di alcuni rispetto ad altri, è un dato di fatto arcinoto. Ma ciò non toglie che all’epoca Palazzo Chigi annunciasse la nostra partecipazione ai bombardamenti facendo riferimento a un colloquio tra Barak Obama e Berlusconi in cui i due concordavano sul fatto che “una pressione supplementare è necessaria per rafforzare la missione di protezione dell’Onu”. E che lo stesso La Russa motivasse la sua finale (ha dichiarato in un’altra intervista di essere stato il penultimo ad adeguarsi) adesione al fronte interventista affermando: “La posizione è cambiata perché la situazione a Misurata è diventata terribile”.

Sinceramente si riesce a individuare ben poca oggettività storica nelle ricostruzioni di questi giorni; semmai molta soggettività opportunistica. La presidenza di Napolitano presenta delle zone d’ombra ma volerne aggiungere altre artatamente corrisponde solo al bieco interesse elettorale quando, in realtà, tutti all’epoca pasticciarono con la Libia, senza capirci granché. Berlusconi non voleva? Non è una novità. Ma sulla sua posizione pesavano quasi di più gli aspetti personali (il rapporto con il tiranno come ha ricordato La Russa in una apparizione alla trasmissione de La7, “l’aria che tira”, il 19 febbraio del 2015: “Non voleva assolutamente intervenire contro Gheddafi dicendo che aveva dato la sua parola al Rais”) che le strategie politiche. Anche perché se al fondo ci fosse stata la politica, le dimissioni solo minacciate nel famoso vertice al teatro dell’Opera le avrebbe presentate; nel momento in cui non l’ha fatto, ha deciso di aderire a una scelta (“Frattini diceva che la delibera” dell’Onu “era fatta, che non potevamo non adeguarci”, sempre versione La Russa), l’ha condivisa e con lui tutti i suoi alleati di governo, anche quelli che ora cercano il capro espiatorio. Il fatto è che il passato può alimentare il lavoro degli storici, non quello dei politici. Cercare oggi consensi brandendo vicende che andrebbero studiate e non trasformate in alimento polemico, è il peggior regalo che si possa fare all’intelligenza degli italiani.

Antonio Maglie
Blog Fondazione Nenni