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IL GOVERNO GIALLO-VERDE E IL SALVATAGGIO DELLA BANCA CARIGE

                      (Vignetta di RiMa)

Sono lontani i tempi, era luglio 2017, in cui i senatori 5 Stelle guidati dall’attuale ministro Barbara Lezzi gettavano false banconote da 500 euro a Palazzo Madama per protestare contro il salvataggio delle banche venete da parte dell’allora maggioranza a guida Pd.

Sono ancora più lontani i tempi, parliamo del 2016, in cui Luigi Di Maio un giorno sì e l’altro pure – scrive l’Huffington Post – l’allora premier Renzi per la gestione della crisi del Montepaschi, giurando e spergiurando che lui e il suo Movimento non avrebbero mai messo un centesimo dei soldi pubblici nelle casse degli istituti di credito. E ancora più remoti i tempi in cui Alessandro Di Battista, in versione Savonarola, arringava dagli scranni di Montecitorio contro il conflitto di interessi di Maria Elena Boschi nel caso Banca Etruria – pensate, era dicembre 2015. Ora, anno domini 2019, i 5 stelle sono al governo e puntuale come solo la morte sa essere nel Settimo Sigillo di Bergman, ecco che arriva la realtà dei numeri e della finanza a farsi nemesi storica.

Come in una perversa legge del contrappasso adesso è la maggioranza gialloverde a dover varare in fretta e furia un decreto per salvare Carige, la banca di riferimento di una Genova sempre più colpita nel suo tessuto sociale e produttivo. E lo fa senza colpo ferire, di soppiatto, senza annunci, sperando quasi che nessuno se ne accorga.
Cosa è successo nella pratica? Che Conte e Tria hanno scritto e portato al Consiglio dei ministri un decreto che sarebbe potuto essere frutto dell’accoppiata Gentiloni-Padoan o Renzi-Padoan, fate voi. Carige è un istituto in forte difficoltà, unico fra gli italiani a essere stato bocciato agli stress test della Bce dello scorso novembre. Difficoltà acuita dal rifiuto dell’azionista di riferimento, la famiglia Malacalza, a sottoscrivere un aumento di capitale da 400 milioni per dare più solidità alla banca. Non a caso il 2 gennaio, il primo giorno utile dopo le feste natalizie, la Bce ha provveduto a commissariare d’urgenza Carige e dare mandato ai tre amministratori di portarla alle nozze con un istituto più grande e più stabile.
Ma per fare questo non basta il mercato e i suoi spiriti animali e la mano invisibile che secondo la narrazione liberista tutto indirizza verso la soluzione migliore. Serve lo Stato, quello con la S maiuscola. Soprattutto i suoi soldi, che poi, alla fine della fiera, sono quelli dei contribuenti ovvero i nostri. E il governo gialloverde non si è fatto specie di aprire il portafogli, seppur non subito ma fra qualche tempo, forse dopo le elezioni europee, guarda caso. Conte e Tria hanno messo su un meccanismo per il quale ci sarà la garanzia dello stato sui futuri prestiti che Carige chiederà sia mediante bond che mediante finanziamenti diretti a Banca d’Italia. In altri termini, la banca genovese prenderà a prestito altri soldi ma se non riuscirà a restituirli toccherà pagare allo Stato. Ergo noi tutti.
La decisione del governo di intervenire per il salvataggio di Carige è apparsa in contraddizione con quello che è sembrato l’orientamento gialloverde finora -“Dal governo non un euro alle banche”, rileva Adnkronos. Poche ore prima il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, aveva ricevuto i tre commissari straordinari della banca ligure – Fabio Innocenzi, Pietro Modiano e Raffaele Lener – commissariata dalla Bce lo scorso 2 gennaio. Nel colloquio si sarebbe affrontato il possibile intervento della Sga, la bad bank del Tesoro, che potrebbe rilevare un pacchetto di 2,8 miliardi di crediti deteriorati della banca protagonista, negli ultimi anni, di un ‘calvario’ fatto di aumenti di capitale, stress test falliti e crollo del titolo in Borsa (sospeso sine die dopo il commissariamento).
Il salvataggio, o meglio il tentativo di salvataggio, non nasce dal’oggi al domani: arriva dopo il recente fallimento della ricapitalizzazione dell’istituto: è il 22 dicembre scorso quando in assemblea non passa l’aumento da 400 milioni approvato dal cda. Ad astenersi, bloccando l’operazione è la famiglia Malacalza, maggior azionista del gruppo, che a fronte di una continua erosione del valore della banca, nell’ultimo anno il titolo ha perso oltre l’80%, decide di non investire ancora. L’aumento in opzione ai soci serviva a restituire i 320 milioni di ‘prestito ponte’ concessi a novembre scorso dal Fondo, e quindi dalle banche italiane, con la sottoscrizione di bond subordinati.
Sulla questione, interviene oggi anche il senatore del Movimento 5 Stelle Gianluigi Paragone pubblicando un video in cui sembra criticare il governo Lega-M5S, forse anche a causa del decreto Carige. Paragone inizia parlando della crisi della azienda Hammond Power Solutions di Marnate (Varese): “Vogliamo essere come i Gilet Gialli? Allora cominciamo a farlo! Sono incazzato! Dobbiamo dimostrare di essere forti, di essere il Governo del cambiamento e di essere vicini alla gente! Ascoltate e condividete se siete d’accordo con le mie parole e se anche voi volete questo dal vostro Governo!”.