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I PARLAMENTARI ITALIANI NON SONO TROPPI, LO DICE UNO STUDIO DEL SENATO

“Si ricorda che la formulazione originaria del testo degli articoli 56 e 57 Cost., come approvati dall’Assemblea costituente, non prevedeva un numero fisso di parlamentari bensì un rapporto numerico costante tra gli abitanti e gli eletti, in modo che il numero dei parlamentari potesse mutare con il variare della popolazione, così inizia la il rapporto degli Uffici studi congiunti di Camera e Senato”, che trovate qui.

“In particolare, era previsto che fosse eletto un deputato ogni 80.000 abitanti o frazione superiore a 40.000 abitanti: al contempo, per ogni regione era eletto un senatoreogni 200.000 abitanti o frazione superiore a 100.000 abitanti, con un minimo di sei senatori, fatta eccezione per la Valle d’Aosta alla quale si attribuiva un unico seggio.Con la legge costituzionale n. 2 del 1963 il numero dei senatori elettivi è divenuto la metà di quelli della Camera, fissati in 630, a prescindere dalla variazione della popolazione; è stato altresì stabilito che nessuna regione potesse avere meno di sette senatori ad eccezione della Valle d’Aosta (uno) e del Molise (due). Va infine ricordato come con la legge costituzionale n. 1 del 2000, alla luce dell’istituzione della circoscrizione Estero – nella quale sono eletti 12 deputati e 6 senatori – e del riconoscimento del diritto di voto ai cittadini italiani residenti all’estero, è rimasto immodificato il numero dei deputati e dei senatori elettivi mentre sono stati proporzionalmete ridotti i seggi attribuiti nelle circoscrizioni elettorali del territorio nazionale.”.

Cosa dice il documento di Camera e Senato.
Uno degli argomenti più abusati e, insieme, più demagogici usati dal fronte del Sì al taglio del referendum sul numero dei parlamentari, scrive Ettore Maria Colombo su Tiscali Notizie è che i deputati e senatori italiani sono ‘troppi’ rispetto al numero degli abitanti del nostro Paese e, in termini assoluti, rispetto a quelli degli altri membri Ue. Quale miglior motivo, dunque, per ‘sforbiciarli’, oltre che quello dei (presunti) risparmi che ne deriverebbero, peraltro risibili (57 milioni l’anno e 285 milioni a legislatura)?
Bene, uno studio riservato e finora neppure a conoscenza di tutti i parlamentari è stato sfornato dall’eccellente Servizio studi congiunto del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati (il numero 280/2020): lo studio si occupa, più in generale, di presentare la legge d’iniziativa parlamentare sulla “Riduzione del numero dei parlamentari”, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 12 ottobre 2019, le sue radici, il suo iter e, appunto, i suoi effetti, ove approvata. Uno studio che fa letteralmente a pezzi il tema, cavallo di battaglia del Sì, dell’eccessivo numero dei parlamentari italiani nella Ue.
Ma prima di analizzare il raffronto tra l’Italia e gli altri Stati europei sul numero dei parlamentari presenti e futuri, conviene ripartire dall’inizio. La legge di riforma costituzionale, voluta e approvata, dopo quattro letture (tre a maggioranza qualificata, una a maggioranza assoluta), soprattutto dai 5Stelle e che ha visto il Pd votare prima per tre volte ‘no’ e solo l’ultima volta ‘sì’, legge che il 20/21 settembre verrà sottoposta a referendum costituzionale confermativo (sì o no alla riforma), prevede la riduzione di 345 parlamentari: i deputati passerebbero da 630 a 400 e i senatori (elettivi, fermi restando i 5 senatori a vita) da 315 a 200, modificando gli articoli 56 e 57 della Costituzione. La sforbiciata è davvero consistente: in percentuale, è -36,5%. Paradossalmente, la Costituzione nel 1948 non aveva fissato un numero categorico di parlamentari: il numero dei senatori rimase variabile fino alla legge costituzionale n. 2/1963, che lo stabilì nella metà esatta dei membri della Camera, mentre la legge costituzionale n.1/2000 ha inserito, diminuendo il numero dei deputati e senatori eletti in Italia, i parlamentari eletti all’Estero (12), che invece, con la riforma, verrebbero anche loro dimezzati, scendendo a 8.
A seguito della riforma costituzionale, se vincessero i sì, il rapporto tra numero medio di abitanti e parlamentari eletti schizzerebbe verso l’alto, allargando di molto la ‘forbice’: per la Camera, si passa da 96 mila abitanti a 151.210 per deputati, per il Senato il salto si fa davvero impressionante. Praticamente, il numero di abitanti per senatore quasi triplica, passando da 188.424 abitanti a senatore a 302.420. Stabilito che, già oggi, il Molise ha solo due senatori e la Valle d’Aosta uno, mentre fino a ieri ogni altra regione ‘non’ poteva avere meno di sette senatori, la Basilicata e le due province autonome di Trento e Bolzano crollerebbero a due senatori, altre regioni (Umbria, Calabria) a soli tre.
Ma veniamo alle tabelle comparative con i parlamentari degli altri stati europei, Regno Unito ancora compreso. Il raffronto tra le Camere ‘basse’ è il più calzante perché sono quelle elettive (in alcuni Paesi Ue, infatti, le Camere ‘alte’ sono composte da nominati: dalla Corona i Lords in Gran Bretagna, dai Lander in Germania nel Bundesrat, etc.). Già oggi l’Italia non ha la Camera bassa con il numero più alto numero di deputati perché è superata dal Bundestag tedesco (709 membri, ma a numero variabile di eletti, a causa della legge elettorale) e dalla Camera dei Comuni del Regno Unito (650). Poi seguono la Francia con 577, la Polonia (460), la Spagna (350), la Svezia (349), la Romania (329), la Grecia (300), la Bulgaria (240), il Portogallo (230), la Repubblica Ceca (200), l’Ungheria (199), l’Austria (183), la Danimarca (179). Con il taglio di 230 deputati, l’Italia con 400 membri crollerebbe dal terzo al quinto posto nella classifica del numero assoluto di deputati per nazione tra i paesi Ue, poco sopra paesi molto meno popolosi del nostro.
Ma ciò che conta non è solo il numero di parlamentari in assoluto, ma il rapporto tra questi e la grandezza della popolazione di ciascun Paese. La Germania, Paese con il maggior numero di abitanti in Unione europea (82 milioni), conta circa 0,9 deputati ogni 100 mila cittadini. Rapporto pressoché identico anche per la Francia (67 milioni di abitanti), che ha però meno deputati dell’Italia. La Spagna, che ha meno deputati dell’Italia, vanta però 0,8 parlamentari ogni 100mila abitanti. Al momento invece l’Italia ha circa un deputato per ogni 100mila abitanti: si trova cioè già al 24esimo posto nella graduatoria delle Camere basse. Con il taglio dei parlamentari, questo rapporto arriverebbe a 0,7. Il più basso di tutta Europa. Più che un ‘primato’, grazie al taglio, una vera ‘maglia nera’.
Inoltre, guardando gli ultimi posti di questa graduatoria, si può capire come i Paesi più piccoli dell’Unione – e quindi con il minor numero di cittadini – abbiano un rapporto tra deputati e abitanti molto più elevato del nostro. Basti pensare a Malta, che ha una media di 14,3 deputati per ogni 100mila abitanti. Situazione simile in Lussemburgo (10 deputati ogni 100mila cittadini), e in Estonia (7,7).
La difficile comparazione tra il Senato italiano e gli altri
Il confronto tra il Senato italiano e quello delle Camere ‘alte’ del resto d’Europa, invece, è molto più complicato: non tutti gli Stati membri hanno una struttura bicamerale e non sempre la Camera alta viene direttamente eletta dai cittadini. In molti di questi casi, inoltre, le funzioni assegnate alle Camere alte sono diversamente modulate rispetto alle Camere basse, in base ai rispettivi ordinamenti. Diventa quindi difficile fare un confronto. La maggior parte dei Paesi dell’Ue (15 su 28) non ha una seconda Camera. Oltre all’Italia, ce l’hanno anche Austria, Belgio, Francia, Germania, Irlanda, Paesi Bassi, Polonia, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Slovenia e Spagna. Ma solo in quattro Paesi, e non tra i più popolosi, Polonia, Repubblica Ceca, Romania e Slovenia anche i membri della Camera alta vengono eletti direttamente dai cittadini. Il raffronto tra il numero di abitanti e il numero dei ‘senatori’ (o simili), dunque, risulta improprio, se non davvero impossibile.
Per quanto riguarda i numeri assoluti, la Camera alta più numerosa è di gran lunga quella inglese: la House of Lords, infatti, annovera 792 membri. Tuttavia, la nomina dei Lords è a vita e non c’è un numero massimo di membri consentiti. Inoltre, ci sono alcuni Lords di diritto, altri sono esponenti della Chiesa anglicana, e altri hanno ereditato il seggio da un familiare (che però non esiste più a partire dal 1999). In Francia il Senato è elettivo di secondo grado ed è composto da 348 senatori, eletti da un collegio di più di 160 mila “grandi elettori” (costituito per lo più dai delegati dei Consigli municipali) e si rinnova per metà ogni tre anni. In Spagna, i membri del Senato hanno un numero variabile (oggi sono 266) e sono in maggior parte eletti a suffragio universale diretto, con una minore parte designata invece dai Parlamenti delle diciassette Comunità autonome. Molto basso, infine, il numero di senatori del Bundesrat tedesco, composto da membri dei governi dei Lander: oggi sono 69. In Italia, i 315 senatori con la riforma scenderebbero a 200.
Volendo tirare, anche se del tutto impropriamente, le somme, cioè aggiungendo i membri della Camera bassa a quella della Camera alta, oggi Italia si piazzi seconda, e non prima, in questa classifica con 950 parlamentari tra senatori (315 + 5 senatori a vita) e deputati (630). Il primo posto spetta in ogni caso, al Regno Unito, che ha 650 deputati nella Camera bassa e ben 791 rappresentanti nella Camera alta, la House of Lords, per un totale di 1.441 parlamentari. Tutti gli altri Stati europei, anche considerando i parlamentari non eletti, arrivano alle spalle dell’Italia, ma tagliando il numero dei parlamentari sarebbe il nostro Paese a crollare in fondo alla classifica, sia in numero assoluto sia che, come abbiamo visto, nel rapporto tra eletti ed elettori.
Volendo, infine, ricordare i precedenti tentativi di riforma del numero dei parlamentari e pur sottolineando che nessuno di essi prendeva di petto ‘solo’ la questione pura e semplice del numero, ma riguardava diversi aspetti di sistema (differenziamento delle funzioni delle Camere, diversità del metodo di elezione tra le Camere, etcetera), la riduzione del numero dei parlamentari era già stata oggetto, in passato di numerose proposte di riforma: da quella della Commissione Bozzi (1983) a quella della Commissione D’Alema (1997), dalla riforma del governo Berlusconi (2006) a quella del gruppo di lavoro istituito dal Presidente Napolitano nel 2013 e quindi – limitatamente alla Riforma del Senato – alla revisione del Governo Renzi. E, del resto, alla stessa Assemblea Costituente, vi era stato un ampio dibattito sul punto. Il relatore Conti (Pri) aveva proposto di eleggere un deputato ogni 150.000 abitanti, proprio come avverrebbe a seguito della riforma costituzionale proposta, mentre tra coloro che volevano un numero fisso si era parlato 300 o 400 o di un numero massimo “non superiore a 450 deputati”. Tra i sostenitori di Camere più snelle vi erano, oltre a Conti, autorevoli costituenti come Einaudi e Perassi, secondo i quali una Camera più snella poteva essere più autorevole e meglio funzionante. Altri, soprattutto nelle fila della Dc (da Cappi a Bulloni a Fuschini), ma anche il socialista Targetti e il comunista Terracini (nel cui partito vi erano però anche voci diverse come quella di Nobile), sostenevano invece che vi fosse bisogno di un maggior numero di parlamentari per avere una maggiore rappresentanza, ma anche tra questi, comunque i numeri risultavano assai variabili. Come noto, la Costituente, alla fine, non fissò un numero fisso, ma si orientò verso assemblee numerose, prevedendo l’elezione di un deputato ogni 80.000 abitanti (o frazione superiore a 40.000) e di un senatore ogni 200.000 abitanti (o frazione superiore a 100.000), mentre nel 1963 una revisione costituzionale stabilì il numero fisso di 630 deputati e 315 senatori elettivi. Quella rimasta in vigore fino ad oggi e che, oggi, con il referendum si vuole, inopinatamente, tagliare.