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E GRILLO SCOPRÌ L’ANTICA ARTE DEL COMPROMESSO

Alla fine, a decidere è sempre lui, il Commediante in capo. Gianroberto Casaleggio non c’è più, suo figlio è a corto di storytelling (le scie chimiche, la retorica dell’uno vale uno…), il peso del comando è tutto sulle spalle del rag. Beppe Grillo, in gioventù detto Giuse, scrive Aldo Grasso sul Corriere della Sera.

Prendiamo la questione dello stadio della Roma. La sua portavoce in Campidoglio, donna Virginia Raggi, non sapeva più che pesci prendere, «quanno c’è ’a salute c’è tutto». Il suo portavoce al Parlamento, don Luigino Di Maio, si aggrappava ai soliti luoghi comuni: «Le decisioni le prendono i consiglieri comunali, gli assessori, il sindaco».

Sì certo, Grillo era a Roma «tanto pe’ cantà, perché me sento ’n friccico ner còre». Il problema è che dopo il No all’Olimpiade era difficile dire No anche ai romanisti. Come uscirne? Il Commediante in capo ha detto che bisognava sentire «la popolazione interessata al progetto». Poi che dello stadio avrebbe dovuto occuparsene «un costruttore e non un palazzinaro». Poi ancora che «lo stadio va fatto altrove, altrimenti non lo facciamo». E poi? Poi leggere il sociologo Gérald Bronner che ha scritto un libro sulla «democrazia dei creduloni».

Alla fine ha deciso lui, con la vecchia politica del compromesso, quella che i grillini volevano disintegrare: stadio dimezzato, niente torri, sì a Tor di Valle con tanti saluti al rischio idrogeologico. Morale? La massa ha bisogno di culti, la democrazia di colti.

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Fonte: Corriere della Sera