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DECRETO SICUREZZA, SALVINI NON PUÒ IMPUGNARE IL DECRETO DEL TAR AL CONSIGLIO DI STATO

Il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha più volte annunciato di avere dato mandato all’Avvocatura dello Stato di ricorrere al Consiglio di Stato contro la sentenza del Tar del Lazio che ha di fatto aperto le acque italiane alla Open Arms.

“Il ricorso dell’Avvocatura dello Stato al Consiglio di Stato, con un presunto pronunciamento addirittura pevisto per oggi pomeriggio, è una bufala – scrive Alessandra Ziniti sulle pagine del quotidiano la Repubblica.
Non è stato presentato nessun ricorso al massimo organo della giustizia amministrativa semplicemente perchè il nostro ordinamento non lo consente.
Codice alla mano, infatti, è evidente che non è previsto alcun ricorso contro l’ordinanza emessa in via provvisoria dal giudice monocratico prima che l’argomento sia trattato in sede collegiale. E’ possibile solo chiederne la revoca allo stesso tribunale ( in questo caso quello del Lazio) che l’ha emessa.
Nel caso in questione, dunque, l’ordinanza emessa dal presidente del tar del Lazio potrà essere appellata solo dopo che il 9 settembre prossimo, la sezione del Tar nella sua composizione collegiale deciderà se confermare o revocare o modificare l’ordinanza che nel frattempo è esecutiva e deve essere eseguita dall’amministrazione italiana”.
“Nei confronti dei decreti di questo genere emessi dal Presidente di un Tar, il codice del processo amministrativo – spiega sul Sole 24 Ore, Aldo Travi, professore ordinario di Diritto amministrativo nella facoltà di Giurisprudenza dell”Università Cattolica di Milano – prevede soltanto la possibilità di richiedere la revoca, per qualsiasi motivo, allo stesso Presidente. Ciò si spiega col fatto che il decreto cautelare è un atto ‘provvisorio’, destinato ad essere verificato dallo stesso Tar in sede collegiale nella sua camera di consiglio successiva: in quell’occasione il collegio valuterà, con una propria ordinanza, se confermarlo o riformarlo, e provvederà in via definitiva nelle forme ordinarie sulla richiesta di misure cautelari. Il codice del processo amministrativo prevede in questo caso che l’ordinanza del collegio, essa sì, sia passibile di appello (art.62).
Ferme restando le ragioni del decreto e l’impossibilità di un appello al Consiglio di Stato prima dell’ordinanza del Collegio, la presentazione di appelli, di richieste di revoca, ecc., nulla toglie alla circostanza che il decreto del Presidente del Tar sia ‘esecutivo’. Anche l’appello non sospende la sua esecuzione e perciò non viene meno l’obbligo per l’amministrazione di eseguirlo lealmente.
Il decreto è stato emesso dal Presidente del Tar in via d’urgenza, come è previsto dal codice del processo amministrativo per i casi in cui non sia possibile – per la gravità della situazione – la trattazione secondo il calendario delle camere di consiglio del collegio; la trattazione in sede collegiale si terrà il 9 settembre e in quella occasione il Tar deciderà se confermare o meno il decreto.
Ferme restando le ragioni del decreto e l’impossibilità di un appello al Consiglio di Stato prima dell’ordinanza del Collegio, la presentazione di appelli, di richieste di revoca, ecc., nulla toglie alla circostanza che il decreto del Presidente del Tar sia ‘esecutivo’. Anche l’appello non sospende la sua esecuzione e perciò non viene meno l’obbligo per l’amministrazione di eseguirlo lealmente.
Né su tale obbligo può incidere un nuovo provvedimento ministeriale, se emanato dal solo Ministro dell’Interno, in presenza di una legge che richiede invece il “concerto” con il Ministro della Difesa e il Ministro delle Infrastrutture.
L’obbligo per l’amministrazione di eseguire i provvedimenti del giudice rappresenta – insieme con l’indipendenza del giudice – uno dei fondamenti dello Stato di diritto, in cui si concreta la garanzia dei cittadini nei confronti dei poteri pubblici in un Paese libero. Non è casuale che oltre centocinquant’anni fa, nel 1865, quando venne approvata la legge per l’unificazione amministrativa che poneva fine alle amministrazioni pre-unitarie, il Parlamento italiano volle precisare che le “amministrazioni” (nessuna esclusa) avrebbero dovuto “conformarsi” alle decisioni del giudice. Anche la Costituzione repubblicana proclama gli stessi principi e d’altra parte riconosce che l’ultima parola, rispetto alla verifica della legittimità degli atti amministrativi, spetta al giudice”.