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I CENTO GIORNI DI DONALD TRUMP: “PENSAVO SAREBBE STATO PIÙ FACILE FARE IL PRESIDENTE”

“Amavo la mia vita di prima. Avevo molte cose in ballo”, dice Trump in un’intervista all’agenzia Reuters, “ora lavoro di più rispetto a un tempo. Pensavo sarebbe stato più facile”, aggiunge il magnate, divenuto da gennaio il presidente degli Stati Uniti. Trump, inoltre, sente anche la mancanza di quel poco di riservatezza in più di cui poteva godere quando era “solo” un famoso miliardario.

“Anche se avevo molta poca privacy pure prima, perché ero già famoso da tempo, qui ne ho molta di meno. E’ qualcosa davvero di particolare. E’ proprio come stare in un bozzolo, perché c’è così tanta protezione, e davvero non riesci ad andare da nessuna parte”, dice Trump. Inoltre, al presidente, cui “piace guidare” le sue automobili, racconta che adesso“non può più”.

Voleva cambiare tutto, ma proprio tutto, scrive Bernard Guetta su Internazionale. Con lui doveva essere “America first”, la fine del dumping cinese, la chiusura delle frontiere ai cittadini dei paesi musulmani, un muro alla frontiera messicana per sbarrare la strada agli immigranti latino-americani, la grande riconciliazione con Vladimir Putin, mille miliardi di dollari di investimenti nelle infrastrutture che ne hanno effettivamente un gran bisogno e poi, e poi chissà cos’altro, ma comunque un grande cambiamento che avrebbe ridato il primo posto agli Stati Uniti.

Sono passati cento giorni dall’arrivo al potere di Donald Trump e cos’è successo? Nulla.

Il famoso muro? Si vedrà, perché il congresso non vuole sbloccare i fondi richiesti. Le infrastrutture? Forse, dato che il mondo delle imprese è favorevole. Ma sarà difficile visto che la maggioranza repubblicana, liberista e non keynesiana, non crede nel rilancio attraverso gli investimenti pubblici, neanche attraverso le collaborazioni con il settore privato.

Allora la Cina? Neppure, perché Trump ha capito che non c’è modo di piegare con un semplice schiocco di dita la seconda economia mondiale e che per di più ha bisogno del più popoloso paese del mondo per cercare di calmare gli ardori nucleari della Corea del Nord. La Russia forse? Niente affatto, poiché Putin non ha mostrato alcuna disponibilità a cambiare atteggiamento sull’Ucraina e sulla Siria, e l’Fbi indaga sui legami tra la sua équipe elettorale e l’ambasciata russa a Washington.

Inoltre questo nuovo presidente che non voleva rimandare l’America sui campi di battaglia in giro per il mondo ha reagito al nuovo uso di armi chimiche di Bashar al Assad facendo bombardare una base militare del regime siriano e questo ha rappresentato un duro colpo per il Cremlino, che ancora fatica a digerirlo.

Quanto alla chiusura delle frontiere anche ai cittadini dei paesi musulmani dotati di visto, la giustizia ha detto di no, mentre il congresso ha chiuso la porta all’abbandono della copertura medica per tutti introdotta dopo una dura lotta politica da Barack Obama. Insomma, l’elenco delle rinunce e dei voltafaccia di Trump è impressionante perché in tre mesi, passando dalla critica dell’Unione europea al suo elogio, questo presidente non ha fatto nulla o ha fatto l’esatto contrario di quello che aveva affermato durante la sua campagna elettorale.

C’è una spiegazione per tutto ciò. Ed è che il candidato Trump diceva tutto e il contrario di tutto per sedurre e per far conoscere il suo marchio commerciale e il suo nome, che non pensava di essere eletto e che oggi scopre, con un certo pragmatismo, che nulla di quello che aveva annunciato e che piaceva tanto alle destre estreme europee, in particolare a quella francese, aveva senso.

A poco a poco Trump sta diventando un presidente banalmente conservatore, che potrebbe lasciare come eredità principale la riduzione su vasta scala delle tasse per le aziende e per i più ricchi, in altre parole per la gente del suo mondo.